Lettura critica del programma americano di primo aiuto per prevenire stragi

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 23 maggio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

(Terza Parte)

 

Ancora al primo punto abbiamo la valutazione della persona così formulata: È diventata aggressiva o ha perso contatto con la realtà? Tralasciando le manifestazioni di aggressività, va fatta qualche considerazione sulla perdita di contatto con la realtà.

È vero che vi sono casi di deliri destrutturati in cui chiunque può facilmente rilevare la mancanza di rapporto con la realtà di quanto pensa e dice uno psicotico, ma nella maggior parte dei casi anche questa stima non è facile. La difficoltà deriva dal fatto che la trama mentale sostitutiva della realtà viene presentata in forme plausibili e logiche, soprattutto dai malati mentali con un livello di istruzione medio o alto. Ad esempio, l’aver subito un danno o un torto da un medico, un partner, un genitore, un figlio, un amico, un rivale in amore, un collega di lavoro è del tutto possibile e, se non si vive il contesto del paziente, è difficile rendersi conto di quanto ciò appartenga ad un’interpretazione delirante. Uno psichiatra non si ferma all’esame logico dei contenuti della comunicazione, ma tende a stimare il rapporto fra questi e lo stato mentale complessivo e, magari prendendo le mosse dall’attualità urgente proposta dal paziente, verifica che, pur se fosse vero ciò che afferma, non giustificherebbe l’attualità insostenibile in una dimensione emozionale di crisi acuta.

In altre parole, ho proposto il caso in cui la dimensione psicotica è rivelata da una reazione all’affacciarsi alla coscienza del paziente di un suo contenuto mentale, paragonabile per intensità alla reazione di una persona sana ad un pericolo per la vita generato da una minaccia materialmente presente, ma in ogni caso diversa qualitativamente.

Un’altra circostanza molto frequente, ma altrettanto difficile da stimare per il profano, è quella che oggi i giovani psicopatologi che afferiscono alla nostra società scientifica chiamano scherzosamente “fusione a freddo”. Si tratta dell’esposizione in un discorso fluente, sostenuto da un tono motivato e rassicurante, se non addirittura autorevole e competente, di piani, progetti, contenuti programmatici o propositi di realizzazione, del tutto inattuabili per ostacoli insormontabili, quali l’assoluta mancanza di mezzi tecnici, di tempo o di danaro. Con disinvoltura, e senza apparire per nulla “matto”, un signore privo di qualsiasi ruolo professionale e potere economico particolare, può progettare di aprire una banca, fondare un’università, comprare e vendere fabbriche di automobili, nel giro di poche settimane o mesi, e poi andarsene in crociera per il mondo. La psicopatologia classica attribuiva questi contenuti del pensiero al processo di negazione psicotica. In questo caso, per cogliere il distacco dalla realtà, lo psichiatra non si attarda in stime materiali di tempi e costi, ma verifica e rileva l’indisponibilità del paziente a porsi questi problemi reali, perché di fatto ne nega l’esistenza.

Ho proposto i primi due esempi che mi sono venuti alla mente, ma per fare un elenco esaustivo delle forme più frequenti di distacco della realtà e del modo in cui si manifestano non basterebbero tutte le otto ore del corso.

Passiamo, ora, al punto 2: Ascolta senza giudicare.

L’ascolto attento e partecipato, ma silenzioso, può davvero sortire effetti notevoli in termini di fiducia verso l’ascoltatore. Questa “posizione” è il primo cambiamento introdotto da Breuer e Freud nel cammino che portò quest’ultimo a modificare l’atteggiamento tradizionale del medico per creare lo stile dello psicanalista. Il problema è che molto di rado, per non dire quasi mai, una persona che vive uno stato di crisi psicologica tende ad eleggere quale interlocutore qualcuno che non abbia già un ruolo nella sua vita affettiva o al quale non riconosca una funzione professionale di aiuto o un potere di agire modificando le circostanze avverse.

Ricordo, in proposito, il racconto di un poliziotto americano che riuscì ad ottenere la fiducia di un commerciante fallito che minacciava il suicidio, distogliendolo dal proposito. D’accordo con i suoi superiori, l’agente, sfruttando una certa rassomiglianza, si spacciò per un miliardario famoso per la generosità nelle donazioni di beneficienza, e gli propose un aiuto a fondo perduto. Il commerciante accettò di parlare solo con lui, perché lo ritenne in grado di risolvere il grave problema economico.

Questo punto è concepito sul profilo della persona con un disturbo ansioso e depressivo, che la vecchia nosografia definiva nevrotica, distinguendo la categoria da quella degli psicotici, in cui l’alterazione qualitativa dei processi mentali crea una visione alterata della realtà, spesso difficile da comprendere e gestire.

Prima ho detto che “quasi mai” una persona in crisi tende ad eleggere interlocutore qualcuno che non abbia già un ruolo nella sua vita o meriti un credito professionale: il “quasi” è riferito ad una sia pur ristretta gamma di eccezioni. Fra queste vi è lo schizofrenico paranoide in fase di produzione delirante. Il paziente con questo profilo di disturbo, facilmente si rivolge ad estranei e cerca spesso un “giudice” dei fatti che sono avvenuti a suo danno, o a danno di molte persone, a causa di persecutori, nemici o forze occulte che lui avrebbe scoperto. Guai ad avere con questo psicotico un atteggiamento di ascolto neutro, senza partecipazione: innescherebbe un delirio di accusa nei confronti del “complice silenzioso” dei suoi persecutori. Si scompenserebbe, con conseguenze non sempre prevedibili. In questi casi, con buona tecnica e consumata esperienza, si deve intervenire e giudicare quel tanto che basta per confermare l’inferenza di “giudice giusto” che gli dà supporto, ma che faccia sentire anche la giusta distanza: percepire l’interlocutore completamente dalla propria parte può talvolta portare ad una espansione non dell’Io, ma della funzione delirante, con la conseguenza di un’escalation aggressiva contro i persecutori.

Consideriamo il punto 3, per esteso: Dai rassicurazione e informazione. Poi: Empatizza ed esprimi speranza; offri aiuto pratico e informazioni rilevanti. Rispondi sinceramente ad ogni preoccupazione.

Anche in questo caso si presuppone una condizione simile a quella che si stabilisce nel rapporto fra medico o psicoterapeuta e paziente. Ma chi può rassicurare e chi può informare?

Se una persona ha paura di avere un cancro o di essere rovinato per un crollo in borsa, chi può rassicurarlo se non un medico o un esperto di questioni finanziarie?

Questo punto, sviluppato sulla falsariga dei principi che hanno ispirato la pratica psicoterapeutica degli inizi, svolta quasi esclusivamente da medici, risente di una realtà tipica di questo rapporto, documentata in una mastodontica mole di pubblicazioni: il paziente medio in psicoterapia teme per la propria salute, fisica o psichica. Le preoccupazioni vanno da quelle legate alle cause di sintomi dovuti a processi patologici da accertare, a quelle di natura ipocondriaca, ossia generate dallo stesso stato di allarme della mente. La rassicurazione e l’informazione, che può avvalersi della collaborazione degli specialisti necessari ad affrontare problemi particolari, fanno parte del rapporto medico-paziente e psichiatra-paziente, e gli stessi psicoterapeuti formati come psicologi clinici seguono metodi e tecniche sviluppati nel corso di decenni a partire da questo nucleo di esperienza. Paradigmatico e prototipico è stato, al riguardo, l’insegnamento di Balint presso la Tavistoc Clinic, poi diffuso in tutto il mondo con influenza su tutte le scuole di psicoterapia.

Non si comprende in che modo una persona priva di una solida base di conoscenza professionale possa rassicurare e informare dopo otto ore di corso.

L’imperativo seguente del punto 3 è quasi imbarazzante: “Empatizza!”. È come dire: “Innamorati!”. L’empatia è uno stato mentale in cui si condividono i sentimenti più profondi. Come si fa, con un atto di volontà, ad indurre in se stessi questo stato? Si può suggerire, piuttosto, di disporsi alla comprensione, di tendere all’immedesimazione e fare in modo che l’interlocutore ci percepisca dalla sua parte. Ma anche questo non è facile, ed è oggetto di insegnamento ed esercizio nella formazione di psichiatri e psicologi clinici.

Esprimi speranza. Esprimere speranza a prescindere dalla possibilità di prospettare una soluzione ritenuta credibile dalla persona in difficoltà, può solo accrescere la diffidenza e la distanza. Nel classico intervento psichiatrico, sia pur breve ed acuto, si tende prima a stabilire un rapporto di reciproca fiducia, spesso definito “alleanza terapeutica”, e poi si tende a promuovere sentimenti di attesa fiduciosa o speranza, facendo leva su dati oggettivi e concreti che possono essere verificati dallo stesso paziente. Ad esempio, una persona in crisi di disperazione per un insieme di problemi esistenziali che trovano in una paura ipocondriaca per una malattia mortale una metonimia emergente, potrà essere indotta a sperare impiegando i risultati positivi di analisi e indagini strumentali.

Non è dicendosi speranzosi in astratto che si infonde speranza. Nella mia esperienza, la presenza e l’impegno di una persona seria, preparata e determinata, che per questo ispira fiducia, è il primo fondamento perché una persona in crisi possa ricominciare a sperare.

Ma, naturalmente, continuiamo a fare il caso di persone non psicotiche, perché gli psicotici, con variazioni che dipendono dal tipo e dalla fase della malattia, spesso valutano le persone fondandosi più su quanto la loro mente ha attribuito loro (proiezione) che su una stima reale fondata sulle qualità che la persona esprime. Eppure, sono proprio gli psicotici a presentare la probabilità maggiore di fare stragi se armati, ed è proprio per questo rischio che è stato concepito il corso MHFA.

L’imperativo, che segue empatia e speranza, recita: Offri aiuto pratico ed informazioni rilevanti.

Se il problema innescante la crisi, così come lo concepisce la persona in difficoltà, è di rapporti interpersonali, come il tradimento o l’abbandono di un coniuge, oppure di tipo finanziario, in che modo un bidello, un poliziotto, un ingegnere navale, uno spazzino, un insegnante di storia, e così via, possono fornire “informazioni rilevanti”?

Quali sono le “informazioni rilevanti”, non è dato sapere. O, meglio, si sa: sono sempre le informazioni sulla fisiologia e la patologia dell’organismo che trasmette il medico psicoterapeuta al suo paziente, nella supposizione che tale modello si possa generalizzare. Ben poco senso hanno le “informazioni rilevanti” in uno stato di crisi innescato da un evento esistenziale, che può indurre una persona non malata di mente a soffrire e a far soffrire per le sue reazioni, e una persona con un disturbo mentale qualitativamente grave a fare una strage.

E se, invece, la persona è proprio uno psicotico che ha concepito il suo problema all’interno della trama di un delirio? Ad esempio, se la persona presenta le questioni connesse con la propria crisi come il portato di complotti e trame ordite da fantomatici persecutori, come si offrono “aiuto pratico ed informazioni rilevanti”?

E se si passa allo step successivo e si consiglia ad una persona con una simile elaborazione delirante di rivolgersi ad uno psichiatra, è come se gli si dicesse: “Non ti credo, tu sei pazzo. Vai da un medico a farti curare!”. Credete che la prenderà bene?

Infine, per quanto riguarda i punti 4 e 5, ossia l’incoraggiare la richiesta di aiuto professionale e di altre forme di assistenza, non è necessario nessun particolare commento, vale quanto si è già detto: sono infatti misure di buon senso, rimane il problema di applicabilità ed efficacia nei casi concreti.

 

[continua]

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-23 maggio 2015

www.brainmindlife.org